18 gennaio 2018

TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI


Nel corso degli ultimi anni ho potuto constatare quanto l'odio sia diventato sempre più caratteristico della società in cui viviamo, complici una serie di fattori che hanno risvegliato un sentimento che probabilmente c'è sempre stato, ma che era, per certi versi, assopito. Si è così accesa una miccia all'interno del popolo, non solo italiano, che ha innescato poi una bomba. Una bomba fatta di odio. Complici anche, e soprattutto (secondo il mio modesto punto di vista da giovane) i social network, e l'internet, in cui ognuno può immergersi, dal bambino all anziano; dove ognuno ha finalmente (o purtroppo) trovato spazio per esprimere le proprie opinioni, giuste o sbagliate che siano; dove attingere miriadi di informazioni, spesso false; in cui ognuno ha potuto trovare persone con le quali condividere non solo passioni (come magari faccio io col cinema) ma anche la rabbia e l'odio per determinate cose.

Nel mio profilo Facebook ho circa 1200 amici, la metà dei quali ho smesso di seguire, per non vedere più i loro post nella home. Ho fatto questo perché sono stanco. Stanco di vedere sempre più persone che odiano senza magari conoscere i fatti veri o le cose come stanno realmente. Stando della rabbia, dell'odio. La mia vita è già abbastanza problematica così, figuriamoci se poi sono costretto a leggere baggianate da mattina a sera.  

Three Billboards Outside Ebbing, Missouri parla essenzialmente di odio, radicato in quella provincia americana che ha fatto vincere Trump, lontana dai riflettori delle grandi metropoli, dove le persone  più che altro sopravvivono, e concepiscono solo ciò che a loro va bene. Un po' come sta succedendo da altre parti come nel nostro paese: odio verso chi è diverso, odio verso chi non fa come noi, verso le istituzioni, verso le forze di polizia. Le persone che odiano però, non propongono soluzioni ma pongono dei problemi a cui rispondono odiando e basta. L'odio è un sentimento che io sento essere cresciuto tanto in Italia, ma anche nel resto del mondo. Non dobbiamo piegarci a tutto ciò che di brutto succede, non bisogna rispondere con odio allo schifo della vita. L'odio non è mai la risposta a nessun problema come non lo è la vendetta. Niente di tutto questo riporterà indetro la figlia stuprata e uccisa della protagonista del film. Odiare per sempre non riporterà indietro i nostri cari o non aiuterà le idee a cui siamo attaccati con così tanto fervore. L'odio e la violenza non servono a nulla, e questo film ne è una dimostrazione. 


In Mildred Hayes cresce un odio smisurato per ciò che hanno fatto alla figlia. Ma l'odio è insito anche nell'agente Dixon, poliziotto stupido, razzista, che vive con la madre e non conosce null'altro se non ciò che importa a lui. Il personaggio dello sceriffo Willoughby è fondamentale: lui è la pedina che smuove tutti i personaggi, li scuote e li fa svegliare dal torpore e dall'odio che li ha invasi. Lo sceriffo è malato, sta morendo. Gli resta poco da vivere. Sa che a breve dovrà abbandonare non solo il suo lavoro, che ama, ma anche una moglie e due bambine. Come un deus ex machina, lui smuove le coscienze degli altri, che forse, ripeto forse, cominciano a capire che il tempo passato a odiare è tempo sprecato. Lo sceriffo, rappresentante di un potere che spesso non può far molto, impartisce questa lezione. La sua vita sta per finire e non ha più tempo da passare odiando, sebbene ne abbia tutte le ragioni per farlo contro una donna che, pur avendo le ragioni e il diritto di farlo, gli ha un po' rovinato gli ultimi momenti. Ad un certo punto Willoughby vuole sbatterla in tribunale per farla finire al verde ed evitare che possa continuare a pagare per quei manifesti, che hanno così tanto infastidito non solo la polizia ma anche la comunità che supporta il proprio sceriffo, e supporta pure la lotta di una madre per la giustizia, ma non in quel modo. Ma quando lui si sente davvero male, non gliene frega più nulla di andare contro quella donna, perché fondamentalmente è sprecare il tempo che gli resta. Attraverso delle lettere, col potere della parola scritta, gli fa capire che l'odio non è la via giusta, e che l'amore è la cosa più importante. Può sembrare banale e retorica come cosa, ma se ci riflettiamo un attimo è la pura e semplice verità.
Se mettessimo un pizzico di amore in più in ciò che facciamo, se per un attimo smettessimo di pensare alle-brutte-persone-di-un-colore-diverso-dal-nostro-che-vengono-qui-a-distruggere-il-nostro-paese-e-a-rubarci-il-lavoro, se la smettessimo di offendere chi non la pensa come noi, di odiare un uono perché vuole sposare un uomo, di sprecare tempo A SBRAITARE A URLARE A SCRIVERE in caps lock su facebook, e pensassimo più a godere la nostra vita, il tempo coi figli, se pensassimo di più al loro bene, ad educarli, a guidarli, a mostrargli la retta via, forse sarebbe meglio, soprattutto in questo momento storico e sociale che stiamo vivendo. 

Forse i personaggi del film riescono a capirlo. Forse. In quel meraviglioso finale, aperto ma non troppo, Mildred e Dixon, acerrimi nemici ma ora alleati, iniziano una riflessione, su ciò che erano e ciò che potrebbero essere. Forse abbasseranno l'ascia di guerra, forse scaricheranno l'odio nel cesso, lì dove deve stare. Sì, perché odiare è una stronzata. E basta.


L'opera di Martin McDonagh rasenta la perfezione. La sceneggiatura, per certi versi coeniana, mischia la commedia al dramma. Condita con un po' di black humor e battute memorabili, passa da momenti amaramente divertenti a scene da occhi lucidi e riflessioni profonde. 
Gli attori sono stratosferici. 
Woody Harrelson è commovente. 
Frances McDormand glaciale: il carattere forte, duro, reso così dalla tr agedia che ha colpito la sua famiglia, traspare in ogni suo movimento, in ogni gesto, e nel viso di pietra scavato e deformato dal dolore.
Quello di Sam Rockwell è un personaggio memorabile. Poliziotto stupido, ignorante, rabbioso, razzista, che poi ha forse la possibilità di raccogliere i cocci della propria vita e iniziarne una nuova fatta di più amore e meno odio.

Il film è un gioiello e una manna dal cielo, di questi tempi, con tematiche attualissime che ci danno tanti spunti di riflessione. E riflettere sui nostro sbagli, su noi stessi e sulla nostra società, non fa mai male... anzi... dovremmo farlo più spesso. Intanto ringraziamo il cinema, che ci permette di farlo.

Suppongo che a questo punto dovrò dirle cos'ho imparato. La conclusione, giusto? Be', la mia conclusione è che l'odio è una palla al piede: la vita è troppo breve per passarla sempre arrabbiati. Non ne vale la pena. (American History X)



2 commenti:

  1. Dalle mie parti non l'hanno ancora messo :( spero di vederlo presto, perché la tua è l'ennesima recensione entusiastica che leggo.

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    1. Nel cinema della mia zona lo danno da questo giovedì, ma io ho preferito vederlo prima in lingua originale. Secondo me il doppiaggio non gli renderà giustizia: il film è fatto soprattutto dalla recitazione.

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