12 ottobre 2017

Leatherface


Quando dietro la macchina da presa c'è passione pulsante per la materia, si vede e si sente. L'ultimo film della saga, Non aprite quella porta 3D, era stato una schifezza immonda, utile solo per i primi piani ai culi delle protagoniste e alle tette della Daddario. Era improbabile fare peggio (ma non impossibile ovviamente, sapendo come vanno a farsi benedire di solito questi franchise horror), e infatti questo Leatherface riesce nel suo intento proprio perché girato con passione e conoscenza della materia trattata. Si sentiva il bisogno di un prequel che spiegasse le origini di una delle figure più iconiche della storia dell'horror? Probabilmente no. Ma ora che ce l'abbiamo ce lo gustiamo.

Con la benedizione di Tobe Hooper, che qui figura come produttore esecutivo, i due registi francesi Alexandre Bustillo e Julien Maury sfornano un prodotto assolutamente rispettoso del capostipite (capolavoro del '74 che ha segnato l'horror), un road movie scritto in modo discreto, senza le solite "stronzate" tipiche ormai dei film di questo genere, con dialoghi giusti e non imbarazzanti, con una violenza brutale ma necessaria per descrivere il disagio fisico e psichico dei protagonisti e dell'ambiente che li circonda e li plasma. I personaggi, appunto, sono caratterizzati abbastanza bene, e ogni azione, ogni scelta che fanno, è in relazione al loro modo di essere e al loro cambiamento dettato o da una famiglia disagiata, da una madre onnipresente e soffocante, o dagli esperimenti in un manicomio, o dalle persone che mentono e ti imbrogliano e ti deludono. In questo senso, il personaggio migliore è proprio Jared, il futuro Leatherface, la cui mente vediamo distruggersi sotto i nostri occhi, complici tutte le tragedie e il male a cui assistito, ma soprattutto perché è arrivato alla conclusione che le uniche persone di cui può fidarsi sono solo i membri della sua famiglia, che non lo tradiranno e non lo deluderanno mai. La trasformazione in Leatherface è coerente con ciò che ci viene mostrato e col percorso affrontato dal personaggio di Jared.

Questo Leatherface può essere promosso perché, anche se lontano anni luce dalle atmosfere anni 70 del primo (col sapore di pellicola consumata e una sporcizia onnipresente e orribile, che in questo ultimo film, purtroppo, è quasi assente, e quel senso di imperfezione che lo rende unico), riesce comunque a raccontarci bene la storia del protagonista e del perché si è trasformato nel mostro che tutti conosciamo. È un grandissimo film? Ce ne ricorderemo? Assolutamente no. Ma chi se ne frega. Sarà impossibile riavere un prodotto come quello di Hooper, figlio del suo tempo e capostipite di un genere, ma va bene così. C'è da chiedersi però se sarà necessario in futuro accanirsi ancora contro una saga che è stata martoriata nel corso del tempo e che, probabilmente, ha finito le cose da dire.

La vicenda di personaggi violenti e sopra le righe, ma con sul fondo un briciolo di umanità, e la giustizia quasi più cattiva dei cattivi, strizza l'occhio al cinema di Rob Zombie, in particolare a The Devil's Rejects, a cui secondo me si sono ispirati tantissimo. Da segnalare poi un evidente riferimento a Pulp Fiction, nella scena della rapina/strage alla tavola calda: la coppia di evasi dal manicomio si comporta esattamente come Pumpkin e Honey Bunny nella sequenza d'apertura del film di Quentin. 

Voto: 7-



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