23 ottobre 2017

IT - il film visto da un amante del libro


Ed eccomi qui. Paradossalmente avrei voluto che questo momento non fosse mai arrivato. Ma ci siamo. E devo parlarne. Sento il bisogno di farlo. Uscito dalla sala, se devo essere sincero, è stato come se mi fossi tolto un grande peso dalle spalle. Non so se vi è mai capitata quella sensazione di gelosia nei confronti di un qualcosa come un libro, o un film, o qualche altra opera artistica; una gelosia quasi da maniaco, la paura che qualcuno possa toccare, fare suo, stravolgere, criticare, qualcosa che per voi è sacra, unica, fonte di emozioni assurde, ma soprattutto che ritenete quasi vostra, che avete fatto vostra e che volete custodire, appunto, con gelosia. Per questo, non avevo molte aspettative ma soprattutto ansia e preoccupazione, per la trasposizione di quello che è, senza dubbio, il mio romanzo preferito, la lettura che forse più di tutte ha scavato nel mio animo fino a toccarne le corde del cuore, e lì ci è restata. Nessuna aspettativa perché sapevo benissimo che trasporre IT al cinema sarebbe stata impresa ardua senza snaturarlo, cambiarlo, tradirlo. Ansia e preoccupazione non solo perché si stava mettendo mano al mio romanzo preferito, ma anche per l'accoglienza che gli sarebbe stata riservata e perché il pubblico che non ha letto il libro, magari avrebbe pensato che fosse una semplice storia dell'orrore, storia di un clown assassino, perdendo tutto il resto dell'opera di King.



Ora, lasciatemi parlare un po' del libro. Al film ci penso dopo. Tranquilli.
(Della mini serie purtroppo non ho nulla da dire, mai vista da bambino (non capisco perché), e non sono mai andato oltre la metà del dvd che ho da anni)
Non sarò breve, ma neanche troppo lungo.
Cercherò, senza spoiler, di evocare le emozioni che ho provato leggendolo, e di far capire perché per me questa storia è così importante e perché ha influito al 100 % sulla visione del film.



Da piccolo non trascorrevo le mie giornate solamente davanti alla tv, a vedere quei film che avrebbero segnato la mia esistenza e avrebbero fatto nascere in me la passione per il cinema. Adoravo giocare fuori, stare all'aria aperta; andare in bici con gli amici, al fiume, affrontando un percorso che era ogni volta un'avventura diversa. Un paio di km, sempre a sfrecciare in stradine sterrate circondate da una vegetazione fitta e con insidie al loro interno. Personce che incontravamo nel cammino che ci faccevano paura perché sembravano strane (magari semplici agricoltori con utensili in mano). Ma noi vedevamo oltre le apparenze. Eravamo bambini e la nostra immaginazione era potentissima. Oppure quando incontravamo i maremmani, che facevano la guardia alle pecore, e ci inseguivano aggressivi, abbaiando e cercando di raggiungerci, e noi pedalavamo e pedalavamo come forsennati, per sfuggire a quelle creature che se ci avessero raggiunti ci avrebbero sbranati. e la finivamo sempre a ridere pensando a quanto fossimo stupidi ad avere paura. Ma ci piaceva. Ci piaceva il gusto dell'avventura, sentendoci liberi. Ci piaceva andare in posti lontani dalla civiltà, fosse vicino al fiume, o sopra gli alberi. Ogni giorno era come creare la puntata di una serie tv. C'era sempre qualcosa di nuovo da vedere, da affrontare. La nostra immaginazione spaziava.
Questa è l'infanzia, come l'ho vissuta io. E tutto ciò mi è tornato in mente rileggendo il romanzo di Stephen King. E rileggere di quei bambini, dei Perdenti che sfrecciano con le loro bici e si buttano nei Barren a giocare, a essere liberi, lontani dalle proprie famiglie, dai problemi che avevano a casa, e per un attimo si sentono liberi e vengono catapultati in un'avventura incredibile, era un po' come rivedere me stesso. Ed è stato emozionante..

Lessi IT per la prima volta a 17 anni. Ero ancora al liceo e non avevo ancora affrontato il passaggio all'età adulta. A 26 anni, in concomitanza con l'usita del film, l'ho riletto. Sono un adulto, sulla carta, ma nel profondo mi sento ancora un ragazzino. Mi sembra trascorso solo un giorno da quando prendevo la bici e partivo nelle mie avventure pomeridiane con gli amici. Quelli di sempre, che continuo a vedere ancora adesso e coi quali sono cresciuto.
I Perdenti del libro diventano tuoi amici, con loro si crea un'empatia pazzesca. Ognuno di loro ha qualcosa di tuo, ognuno potrebbe essere l'ologramma di ciò che siamo stati noi da bambini. Più vai avanti col libro più i Perdenti ti entrano nel cuore. Ed è questa la cosa più importante che posso riconoscere al romanzo: il fatto di avermi fatto vivere 1300 pagine come se quell'avventura l'avessi vissuta io.

IT non è semplicemente una storia dell'orrore. Per me questa fa solo da cornice alla vera vicenda del film, ovvero il racconto dell'infanzia e il passaggio all'età adulta, con le cose belle e brutte che tutto ciò comporta. IT non è un semplice pagliaccio assassino, quella è l'entità che lui utilizza per raggiungere più facilmente i bambini creduloni. Fa strage anche di adulti, ma questi si uccidono a vicenda, più portati a farsi del male tra loro. I bambini credono a tutto: alla fatina dei denti, a babbo natale, credono a un licantropo all'interno di una casa. Sono un bambino. La mia immaginazione è assurda. Perché quel licantropo non potrebbe essere reale? È reale quello che vedo al cinema, può essere reale anche quello che ho davanti in carne e ossa.
È così che i Perdenti sconfiggono IT. Non hanno paura di lui perché capiscono che niente di tutto ciò è reale. Vogliono continuare a credere a babbo natale, alla fatina dei denti, vogliono ancora avere la libertà, la possibilità e la bellezza di farlo, ma non vogliono credere a IT.

Nel film è totalmente assente la Tartaruga che rappresenta il bene, l'esatto opposto di IT. La tartaruga, che non si vede mai, infonde in loro il potere, li utilizza per cercare di sconfiggere la sua nemesi, IT. I bambini si sentono infusi da un potere che però non capiscono né concepiscono. A volte agiscono anche senza volerlo. Bill diventa il capo del gruppo ma non perché lo vuole lui o lo decidono, ma perché è così è basta. Gli altri sanno che lui è l'unico che può guidargli. E non possono che agire in gruppo. La forza dei 7. La forza scaturita dal legame che li unisce, che è più potente di qualsiasi altra cosa. Legame che nel film purtroppo si perde.

IT è sopratutto questo: la storia di un'amicizia, di un legame che si crea fra questi 7 ragazzini. Tutti e 7 hanno dei problemi, patiscono in un modo o nell'altro le difficoltà che l'essere bambini a volte presenta. Tutti ci siamo passati. Io non somo mai stato bullizzato nel senso violento del termine, ma verbalmente sì, con le parole, che spesso fanno più male dei colpi.
L'infanzia non è sempre idilliaca, ma i bambini riescono a farsi forza più degli adulti. Basti pensare ai genitori di Bill, che dopo la morte del loro piccolo figlio Georgie sono diventati apatici. Per loro non esiste più niente, non esiste neanche più Bill. Lui però riesce a farsi coraggio, con difficoltà riesce a superare il lutto capendo che deve farsi forza e che deve andare avanti, e deve farlo sprattutto per Georgie.

Il romanzo è fatto anche di "sporcizia", squallidume, non solo fisico ma anche sociale, e nel film lo spostamento dagli anni 50 agli '80 non aiuta.
Henry Bowers è un ragazzo bullo non perché nato così ma perché cresciuto in un ambiente malsano. Il padre è un pazzo. Henry è così perché l'odio esiste da sempre nella sua famiglia. Diventa un bambino cattivo, facile preda per IT che si serve di lui, del suo catrattere maligno per dare la caccia ai Perdenti.

I Perdenti, ripeto, diventano tuoi amici. Cresci con loro, soffri con loro, ti emozioni con loro, e alla fine della storia vorresti essere lì ad abbracciarli, nel momento in cui giurano di tornare se IT fosse riapparso. Questo è il momento più alto della vicenda perché sancisce l'amicizia tra i 7, che poi non si rivedranno più per molto tempo.

Altra cosa fondamentale del romanzo, secondo me la più bella e struggente, capace di cambiare veramente le cose e rendere tutto più particolare: da adulti non ricorderanno più niente, cancelleranno sia IT, sia gli amici che hanno segnato la loro infanzia.
Il fatto che un adulto non ricordi la propria infanzia è una cosa terribile. Me ne accorgo anche io quando ad esempio mi trovo a dover rimprovero un bambino, e penso che quelle cose le facevo anche io. A volte si pensa solo da adulti e non si riesce più ad immedesimarsi nel bambino, come se diventando adulti l'infanzia venisse in parte cancellata. Io voglio tenermela stretta. Non solo perché è il momento più importante della vita, dove forgi te stesso, ma anche perché è il momento in cui ci sentiamo più liberi, la nostra mente è libera di poter credere a tutto; sono libero di poter credere a babbo natale, alla fatina dei denti e di poter utilizzare la mia immaginazione. Una mente che vede oltre l'apparenza, una mente pulita e schietta.

Gli adulti dovrebbero fermarsi un attimo a riflettere, a ripensare a com'eravamo da piccoli e a com'era la nostra infanzia. Dovremmo darci una calmata, pensare che magari si sta sbagliando qualcosa, sbagliando perché si è perso il bambino che èin noi. Abbiamo lasciato andare la nostra infanzia, ora ci crediamo forti, viviamo con rabbia e col potere che la crescita ci ha concesso, ma siamo stati bambini e questo spesso non ce lo ricordiamo, ma dovremmo farlo.

IT è questo e altro per me.
Impossibile descrivere bene a parole l'emozione che si prova leggendo questo romanzo.
Non si legge, si vive. È un'esperienza emotiva assurda.

Lost, la mia serie preferita, aveva fatto la stessa cosa. Mi aveva talmente affascinato coi personaggi che erano diventati parte di me. Il finale mi era piaciuto tantissimo per questo. Fondamentalmente mi interessava ormai poco dei misteri, ma più che altro dei personaggi. Li amavo, e volevo sapere come sarebbe andato a finire il percorso di queste persone a cui volevo bene. Tant'è che li reputo al pari di molte persone che conosco nella vita reale, forse li amo anche di più.

I Perdenti sono parte di me, sono la mia famiglia, i miei amici. Con loro ho compiuto un viaggio meraviglioso, ho riassaporato il gusto dell'infanzia, ho sentito di nuovo il vento tra i capelli durante un giro in bici, ho sentito di nuovo il dolore di pietre lanciatemi in testa, o cadute rovinose dalla bici, ho rivisto le "casette" che costruivo in legno coi miei amici, rifugio costruito con perizia e passione, da far invidia ai migliori progetti di Ben Hascom. Tutte queste cose mi son tornate alla mente durante la lettura. Come se un flash avesse percorso la mia mente e mi avesse ricordato che anche io sono stato un bambino.
Tutto ciò lo ritrovo ora da adulto. Mi accorgo che non sono cambiato di molto, che sono sempre un eterno Peter Pan, che continuo ad andare in bici con l'amico di sempre, negli stessi posti in cui andavamo da bambini, al fiume, nelle stradine, e ripassarci è un'emozione unica, ci torno con un po' di malinconia, con la consapevolezza che quei tempi sono passati, e non ho più l'immaginazione di un tempo, perché se vedo un cane non ho più paura, non penso che mi sbrani.
Tutte queste cose vengono meno quando sei adulto, e ripensare all'infanzia mi fa bene. Ripenso ad un periodo idilliaco della mia vita, e penso al fatto che dovrei vivere con più semplicità anche la mia vita da adulto.
Si sveglia da questo sogno incapace di ricordare esattamente che cosa fosse, a parte la nitida sensazione di essersi visto di nuovo bambino. Accarezza la schiena liscia di sua moglie che dorme il suo sonno tiepido e sogna i suoi sogni; pensa che è bello essere bambini, ma è anche bello essere adulti ed essere capaci di riflettere sul mistero dell'infanzia... sulle sue credenze e i suoi desideri. Un giorno ne scriverò, pensa, ma sa che è un proposito della prim'ora, un postumo di sogno. Ma è bello crederlo per un po' nel silenzio pulito del mattino, pensare che l'infanzia ha i propri dolci segreti e conferma la mortalità e che la mortalità definisce coraggio e amore. Pensare che chi ha guardato in avanti deve anche guardare indietro e che ciascuna vita crea la propria imitazione dell'immortalità: una ruota. O almeno così medita talvolta Bill Denbrough svegliandosi il mattino di buon ora dopo aver sognato, quando quasi ricorda la sua infanzia e gli amici con cui l'ha vissuta.
Inutile poi parlare dei personaggi uno per uno. Ognuno di loro ha qualcosa che ho anche io. Durante la prima lettura di IT mi sono innamorato di Beverly Marsh. Era la fidanzatina ideale che avrei sognato di avere alle medie. Una ragazzina all'apparenza debole, per le sue, vittime delle maledicenze degli altri, ma sotto quella corazza una persona forte e decisa, e soprattutto un maschiaccio. Con quegli occhi verdi, e quei capelli rossi e lucenti (mai tagliati! mai!), con screziature talvolta color del rame e talvolta quasi bionde, che le arrivavano fino alle scapole...


«Nell'ultima settimana di scuola prima degli esami avevano studiato haiku nel corso d'inglese. Haiku era una forma di poesia giapponese, breve, rigorosa. Un haiku, aveva spiegato la signora Douglas, poteva essere di sole 17 sillabe, non una di più, non una di meno. Si concentrava solitamente su un'unica immagine precisa, a metafora di un'emozione specifica: tristezza, gioia, nostalgia, felicità... amore. [..]
"I suoi capelli", pensò e la vide scendere i gradini dell'ingresso della scuola con la chioma che le dondolava sulle spalle. Più che risplendere sui suoi capelli, il sole sembrava ardere dentro di essi.
Lavorando per una ventina di minuti, tentando vocaboli che erano troppo lunghi, modificando, Ben giunse a questo risultato:
«Brace d'inverno.
I capelli tuoi,
Dove il mio cuore brucia.»
Non ne andava matto, ma era quanto di meglio fosse riuscito a spremersi. [..] Il momento in cui si era degnata di rivolgergli la parola, era stato un momento straordinario per Ben. Voleva marcarselo nella memoria. 
Probabilmente Beverly era invaghita di qualcuno dei ragazzi più grandi, e avrebbe pensato che era stato il suo beniamino a spedirle lo haiku. Questo l'avrebbe resa felice, perciò avrebbe marcato nella SUA memoria il giorno in cui l'avrebbe ricevuto. E poco importava che non avrebbe mai conosciuto l'identità del latore di tanta gioia: l'avrebbe saputo solamente LUI.»

Ben poi è forse il mio personaggio preferito. Lui che non ha amici ma solo i suoi libri, che passa il tempo in biblioteca, che si immerge nella lettura, linfa vitale per sopravvivere in un mondo fatto di bulli e familiari oppressivi.
Se qualcuno gli avesse domandato: «Ben, ti senti solo?» avrebbe osservato quel qualcuno con sincero stupore. L'ipotesi non gli era mai balenata. Non aveva amici, ma aveva i suoi libri e i suoi sogni [...] Se si sentiva solo? avrebbe forse ripetuto, sconcertato. Come? Cosa? Un bambino cieco dalla nascita non sa nemmeno di essere cieco finché non glielo dice qualcuno. Anche allora si crea un concetto perlopiù accademico di che cosa possa essere la cecità. Solo chi ha perduto la vista può averne un'idea chiara. Ben Hanscom ignorava il significato di solitudine, perché quella era da sempre l'unica dimensione della sua vita.

Ho cercato di "riassumere" e parlare di un po' di cose che rendono il romanzo parte fondamentale della mia vita, in modo da capire meglio la seconda parte di questo mio commento schietto sul film.

La mia speranza è che grazie a questo film tante persone si approccino al libro.
Pur vedendo prima la pellicola, la lettura del libro non sarà intaccata.
Spero che molti lo leggano, spero che si emozionino come ho fatto io, spero che i Perdenti entrino nelle loro vite e che possano diventare loro amici. Lo spero proprio. Perché ci serve, per ricordarci di quando eravamo bambini.



Il film, ovviamente, fa questo: tradisce il romanzo, ne utilizza la base e alcune cose, per poi inventarne di sana pianta altre che, a un lettore fedele come me è normale che colpiscano e diano fastidio. Non posso essere obiettivo. Non ce la faccio. È più forte di me. 
IT è un horror che viene confezionato per rispettare gli standard del genere negli ultimi tempi, lasciando ampio spazio al clown e dandogli molta più importanza e visibilità che nel libro, ergendolo a figura iconica, assoluto protagonista e mattatore, sacrificando tutto il contorno e venendo meno al background sia dei personaggi che della stessa città di Derry la quale nel romanzo è essa stessa protagonista.
I ragazzini protagonisti vengono caratterizzati anche piuttosto bene, a parte un paio di loro lasciati, per motivi di spazio e tempo, un po' in disparte. Eppure non riesco ad esserne soddisfatto, complice anche forse un doppiaggio a tratti imbarazzante. Si sente la mancanza del contesto familiare (importantissimo per inquadrare bene ognuno di loro) che nel film, sempre per motivi di spazio, viene abbozzato tramite veloci scene o battute di dialogo che però lo relegano in disparte. Cosa poi più importante e che balza agli occhi del lettore spettatore c'è l'assoluta assenza dei Barren (zona di campagna ai confini della città, ricca di vegetazione e dove scorre il fiume), il luogo dove i Perdenti si riuniscono, si conoscono; il loro regno, dove possono sentirsi liberi e al sicuro dai bulli e dalle proprie famiglie; soprattutto il luogo da dove poi decolla il finale del libro. Un paio di scene, seppur importanti, non bastano. I Barren sono un vero e proprio personaggio e fulcro essenziale della vicenda. 
Non riesco poi a concepire il finale del film, con quel rapimento di Beverly che nel libro non esiste assolutamente. I Perdenti entrano nelle fogne per sfuggire a Henry Bowers e al suo branco, e lì, come ratti in trappola, saranno faccia a faccia con IT, con la sua vera natura. Non col pagliaccio assassino. È ovvio che il finale del libro è molto difficile, se non impossibile, da trasporre sullo schermo, ma è anche vero che si poteva sicuramente fare di più e tenere qualcosa della storia originale. Invece si è scelto di tenere la figura del clown (iconica, ripeto) fino alla fine, per lo scontro finale, come nei più classici degli horror. Ma IT non è questo, è molto di più, molto peggio. 

Ora, ci tengo a precisare che la mia visione è stata, come prospettavo, influenzata al 100 % dalla lettura (doppia) del romanzo che, ripeto ancora una volta, è il mio preferito di sempre. Naturalmente posso capire i cambiamente che sono stati apportati. A volte si è quasi costretti, come in questo caso. Però avrei impostato diversamente la storia, cercando di dosare meglio la parte horror, che alla fine prevale, con le vicende dei bambini a prescindere dal mostro che li bracca. Il background, forse, poteva essere trattato meglio. IT viene relegato quasi a semplice mostro, icona, presenza fisica, perdendo il fascino e l'orrore del male che pervade in tutta la città e arriva al punto di controllare pure gli uomini, gli adulti. In questo senso, le apparizioni di IT a ognuno dei Perdenti, differiscono sostanzialmente dal libro, e sono rese molto più cinematografiche, da balzo sulla poltroncina, e viene meno il fatto che Esso, l'entità maligna, si nutra delle loro paure. Nessuno ci ha detto che Stan aveva paura di quel quadro, nessuno che Eddie aveva paura del lebbroso o della casa di Neibolt Street. Nel libro, ognuno di loro vede IT sottoforma di ciò di cui hanno profondamente paura: Stan vede dei bambini morti in una cisterna d'acqua (storia vera che lo aveva traumatizzato), Mike vede un tordo gigante che lo aggredisce, Ben vede una mummia come quella dei film, Richie e Bill vedono un licantropo come la creatura dei film che vedono al cinema. 

C'è chi potrebbe dirmi che sono troppo esagerato. Certo. Niente da dire in merito. Ma è così. Non riesco a non esserlo. Mi piacerebbe molto sapere il parere di chi non ha letto il libro e non sapeva nulla della storia prima di vedere il film. Mi piacerebbe molto per capire se ha davvero funzionato o meno. Come film in sé, secondo me può anche funzionare, sebbene con alcune modifiche sarebbe stato molto meglio. 

Dei 7 Perdenti, quello che mi ha sorpreso di più è sicuramente la ragazzina che interpreta Beverly, dotata di una potenza espressiva davvero notevole, capace quasi di fare ombra agli altri piccoli attori. Forse anche troppo potente. Ma ci sta. 

Per concludere.
IT di Stephen King è un capolavoro, un'opera monumentale straricca di tematiche e situazioni e pregna di dettagli che è impossibile da trasporre degnamente in due ore di film. Forse, con una serie di 8 puntate ne potrebbe uscire qualcosa di incredibile.
Chi ama il libro non so come possa riuscire ad apprezzare il film. Poi sicuramente ci saranno le eccezioni, anzi ci sono eccome! Sto leggendo un sacco di commenti di lettori entusiasti del film! Il mondo è bello perché vario.
Chi non ha letto il libro può apprezzarlo e anche tanto.
La speranza è che in tanti si avvicinino al romanzo e che possano immergersi in una storia meravigliosa ed emozionarsi come me, ma di questo ho scritto già abbastanza.

Allora vai senza perdere altro tempo, vai veloce mentre l'ultima luce si spegne, vattene da Derry, allontanati dal ricordo... ma non dal desiderio. Quello resta, tutto ciò che eravamo e tutto ciò che credevamo da bambini, tutto quello che brillava nei nostri occhi quando eravamo sperduti e il vento soffiava nella notte. Parti e cerca di continuare a sorridere. Trovati un po' di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c'è con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare. Sii valoroso, sii coraggioso, resisti. Tutto il resto è buio.


2 commenti:

  1. Oddio penso esattamente le stesse cose. Sono rimasta delusa dal fatto che alcuni luoghi (barren e fogne) siano stati un po sminuuti. Il personaggio di Mike sembra quasi inesistente nella storia e non ricopre il suo ruolo. Poi ci sono anche alcune cose illogiche ad esempio il fatto che Bill non abbia aiutato Eddie a scendere nel condotto fognario, nonostante Eddie avesse un braccio rotto. Mi hanno delusa moltissimo alcune scene cambiate o a mio avviso fatte male. Quella del lebbroso a me ha fatto sorridere, perché con quella musichetta aveva qualcosa di comico. E lo scontro finale con It l'ho trovato penoso. Un gruppo di ragazzini che prende a bastonate un mostro allucinante, seriamente? La fuga di Ben nei Barren è stata sminuita a mio avviso, e mi è dispiaciuto che mancasse la diga. Mi è invece piaciuto il padre di Beverly, forse l'unica cosa che mi abbia dato i brividi come quando ho letto il libro. Ho apprezzato che Ti si prendesse gioco dei protagonisti terrorizzati, mimando i piagnucolii. Ben non mi è piaciuto granché, mi sembra che abbia quasi rubato il ruolo a Mike.

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    1. Quoto tutto. Io avrei cambiato soprattutto il modo in cui arrivano allo scontro con IT, lo avrei tenuto come nel libro. Entrano nelle fogne perché fuggono da Henry e gli altri aguzzini, e restano intrappolati non avendo via di fuga: o IT o Henry Bowers. Il ragno secondo me lo tengono per il finale del secondo capitolo.

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