23 marzo 2018

The Florida Project - Essere bambini in un mondo di m***a


Ogni anno durante la Award Season, esce fuori una perla cinematografica. Un film solitamente piccolo e semplice, ma potente e difficile da dimenticare. L'anno scorso questa perla era stata, almeno per me, Moonlight. Quest'anno è The Florida Project.

Di Sean Baker avevo già potuto ammirare Tangerine, di cui ho da poco scritto qui. In Tangerine, Baker ci accompagna in un folle viaggio nella sottocultura di Los Angeles, in mezzo a quelle persone dimenticate dalla società, che sono il cuore pulsante dei bassifondi delle città. Ci presenta un affresco di questi animali notturni, citando il film di Tom Ford, che agiscono e vivono come ombre.

In The Florida Project, Sean Baker si concentra ancora una volta sui reietti della società, su quelle persone che stanno sul gradino più basso della scala sociale. Il film è ambientato in un motel, The Magic Castle, che accoglie famiglie che si trovano sotto il regime di povertà. Famiglie disastrate con un forte disagio sociale. In questa sorta di regno del degrado, agiscono una serie di bizzarri personaggi, ma l'attenzione si focalizza sui bambini che abitano in questo posto, che devono vivere e crescere all'interno di un disagio sociale, non solo per colpa dei genitori ma anche di una società che quasi fa finta che questi non esistano. La camera si muove quasi sempre ad altezza bambino. Il punto di vista è il loro. La piccola protagonista, Moonee, 6 anni, è una bambina sfacciata, con una lingua lunghissima sempre pronta per le parolacce, che insieme agli amici sputa sopra una macchina, raccatta qualche spicciolo per un gelato da dividere in tre. I bambini si trovano a fare i bambini in un mondo che non è assolutamente concepibile perché ci si possa vivere l'infanzia.

Come avevo già detto nel post su La La Land, io realizzo cortometraggi. Nei miei ultimi lavori ho voluto dare la parola ai bambini, che sono assoluti protagonisti. In Tempos (che potete vedere QUI) ho dato spazio alla differenza fra i bambini di adesso e quelli di 100 anni fa, ambientandolo nel 1915 e nel 2015, in Sardegna, mettendo a confronto il diverso modo di divertirsi, giocare e vivere l'infanzia dei bambini di due epoche. Quelli di 100 anni fa giocavano all'aria aperta, inventando e costruendosi i giochi, a contatto con la natura e rapportandosi di più coi compagni. I bambini moderni a causa della tecnologia (che non è un demonio, sia chiaro) vanno all'aria aperta, si riuniscono in gruppo ma lo fanno sempre avendo davanti agli occhi lo schermo di un tablet o cellulare. Ho voluto mostrare questo cambiamento generazionale dal punto di vista dei bambini.

In un altro corto, Mondo Rincitrullulito (che potete vedere QUI), ho chiuso quattro bambini in una stanza a scuola durante la ricreazione, in punizione. Pieni di rabbia, di odio, si insultano, si offendono, ma tutto ciò che si dicono sono cose che hanno sentito altrove, non farina del proprio sacco. Ho voluto far capire che spesso i bambini non vivono bene la propria infanzia, a causa delle idee dei genitori e di ciò che sentono a casa. C'è la bambina che insulta il bambino perché suo padre è un fallito dato che non lavora, l'altra bambina che insulta la sua compagna perché ha due mamme, non sapendo niente di più, odiando a prescindere, perché l'ha sentito in giro. Il mio obiettivo è stato quello di sensibilizzare sul fatto che i bambini siano spesso soggiogati dalle idee dei propri genitori e crescano in base a ciò che questi vogliono; non lasciandogli spazio e opportunità di scoprire il mondo da soli ma dandogli degli input spesso sbagliati.

The Florida Project funziona più o meno come i miei corti. Racconta un disagio sociale dal punto di vista dei bambini. Questa sorta di motel è un vero e proprio regno di disadattati, di persone che faticano a sopravvivere. Messi in disparte dalla società, non possono avere ambizioni, sogni o certezze. Questo si riperquote nella vita dei bambini, che crescono come in cattività.
La vera protagonista del film è l'immaginazione. Nessun tipo di disagio, di crisi, potrà fermare i bambini dal vedere le cose come ogni bambino dovrebbe fare. I bambini del film vivono una vita disastrata ma ciò non gli impedisce di fuggire con l'immaginazione, di sentirsi liberi, seppur la loro vita non sia serena.
I bambini di The Florida Project vivono questo disagio sociale come un gioco. Non sono adulti, non pensano come adulti. Sono liberi. Liberi di utilizzare l'immaginazione, di scorrazzare da una parte all'altra, liberi di ridere di ogni cosa. In quel momento della vita devi solo ridere. I bambini si costruiscono un regno all'interno delle quattro mure domestiche, siano queste di una villa o di una stanza di motel. Per gli adulti queste stanze sono come la cella di un carcere, ma per i bambini sono molto di più, sono solo quattro mura all'interno di un mondo enorme che possono sfruttare come vogliono.


Malinconia. 
Vediamo questi bambini che se ne fregano di tutto e che non conoscono e capiscono il disagio in cui vivono, non capiscono ciò che stanno attraversando i loro genitori. Questi ultimi non fanno pesare la propria situazione ai figli trattandoli come se stessero vivendo una vita felice e beata, utilizzando ogni scusa, espediente, per far sentire a proprio agio i piccoli. La malinconia del film sta qui: questi bambini vivono un presente sereno, ma il loro futuro è abbastanza incerto. Loro ridono, scherzano, non sapendo che le cose potrebbero mettersi male da un momento all'altro.

Nel finale del film, Moonee viene presa dai servizi sociali. La bambina, che abbiamo sempre visto ridere e cazzeggiare con gli amichetti, la vediamo per la prima volta triste, la vediamo piangere. In quel momento capisce che c'è qualcosa di sbagliato nella sua vita, qualcosa di brutto. Fino ad allora era stato comunque tutto sbagliato, ma lei ha sempre vissuto nell'incoscienza e nella spensieratezza. Capisce che sta per cambiare tutto e va a prendere la migliore amica, l'unica persona con cui vuole stare in quel momento e con la quale condividere quel dolore, consapevole che quasi sicuramente non la rivedrà più.

L'amica di Moonee la prende per mano e la trascina via dal motel. La corsa finale è meravigliosa. Le due bambine si trovano in un luogo affollato, facendosi largo tra le tantissime persone e i tanti bambini. Capiamo ben presto di essere a Disneyland. La camera si alza mostrando in lontananza il castello delle principesse, verso il quale corrono le due bambine, chiudendo così il film.

Quell'inquadratura finale è una delle più belle degli ultimi anni. Il film sta lì. Mi piace pensare che l'amica di Moonee l'abbia trascinata volontariamente lì, non solo per nascondersi ma anche per aggrapparsi all'ultimo briciolo di infanzia che le resta. L'infanzia di Moonee, infatti, praticamente finisce quando la polizia e gli assistenti sociali la separano dalla madre. La bambina prende così coscienza che nella vita esiste anche il dolore, che la vita non è un gioco, e che diventare adulti è difficile. 

Le bambine fuggono e si rifugiano in uno dei simboli dell'infanzia. Ogni bambino sogna di andare a Disneyland. Non tutti però hanno questa possibilità. Per molti questo è un privilegio, anzi un sogno irrealizzabile. Probabilmente loro non ci sono mai state, e magari non hanno neanche mai saputo della sua esistenza. La loro Disneyland l'hanno creata nel loro piccolo regno del motel. Magari non un grande e fornito parco giochi, ma per loro perfetto.

Il finale ci fa riflettere sul fatto che, accanto ai bambini che vivono beati potendo andare a divertirsi Disneyland coi genitori, ce ne sono altri che invece ci vanno per nascondersi dai servizi sociali, che fuggono da una vita che non può appartenere ad un bambino.

Mi piace pensare che Moonee e Jancey fuggano in uno dei simboli dell'essere bambini, qualcosa di cui non hanno mai goduto, come per  rifugiarsi nell'infanzia che pian piano gli viene strappata via. Nel posto in cui possono sentirsi ancora bambine, ancora per un po'. Per loro il futuro sarà incerto, ma per ora afferrano ancora un briciolo di infanzia, libertà e felicità. Lo fanno, soprattutto, insieme. Perché questo film è anche una bella storia di amicizia. Le due bambine si stringono per mano, pronte a ridere, piangere e a lottare insieme. Nel bene e nel male.




3 commenti:

  1. Adorato o quasi allo scorso Festival di Torino.
    Non apprezzo sempre i film ad altezza bambino, anzi, spesso mi irritano, ma alla piccola protagonista - così sfacciata, così naturale - e alla sua mamma sciagurata ho voluto un mondo di bene.

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  2. Io quel finale lì non lo dimenticherò mai, hai ragione: il film sta tutto lì. Ma non solo, perché tutto quello che viene prima è dolorosamente necessario e bellissimo.

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